Il feltrino e il bassanese si consegnarono spontaneamente a Venezia nel 1404, in seguito alla morte di Gian Galeazzo Visconti, e così il castello della Scala e Primolano vennero riassegnate al comando di Feltre. Nel 1412 furono nuovamente riconquistate dall'Imperatore, che le cedette ad Enrico Conte di Gorizia e del Tirolo l'anno seguente. Nel 1420, Venezia si riprese Feltre e decise di eliminare gli atteggiamenti di autonomia dei signorotti locali distruggendo le fortificazioni ritenute superflue, fra le quali i castelli di Rocca, Mellame, Tol e Celado, ma non certo la Scala e il Covolo così vicini al confine con l’Austria, che vennero peraltro assegnati a Bassano due anni più tardi; fu così che in tempo di pace la strada commerciale tra Primolano e Bassano iniziò ad avere importanza con la costruzione del ponte sul Cismon. Il Castello della Scala, invece, venne rinforzato nel 1508, quando Venezia si preparò a fronteggiare la lega promossa da Papa Giulio II. Dall'anno seguente Venezia e l’Austria si contesero le nostre terre che passarono ripetutamente sotto il controllo dell’uno o dell’altro esercito; ciò causò la duplice messa a fuoco dei nostri paesi e la distruzione del Castello della Scala, i cui lavori di ricostruzione incominciarono nel 1514 su ordine del podestà di Feltre. Una volta ristabilita la pace, i contadini di Arsié si ritrovarono a fare i conti con i nobili di Feltre che pretendevano tasse, beni (legna, granaglie) e servizi (manutenzione di opere pubbliche). In particolare, di grande importanza per gli scambi commerciali con la Germania era il ponte di Arsié sul Cismon, che spesso veniva danneggiato dal torrente stesso e della cui conservazione erano responsabili proprio gli arsedesi. Ciò dette vita a disagi e litigi per via del pagamento dei pedaggi, come pure il passaggio al Covolo (di fatto isola austriaca in territorio veneziano) ai quali si aggiunsero le dispute fra Feltre e Bassano per l’attribuzione dell’ormai ricostruito Castello della Scala, che alla fine fu assegnato a Bassano assieme alle terre che lo circondavano (tra cui la contrada di Fastro Bassanese). Questo, perlomeno, fu un periodo di pace durante il quale le milizie locali dovettero soltanto controllare il territorio, e la gente poté riorganizzare la campagna per potersi sostenere nonostante la scarsità di cereali, che venne parzialmente superata con l’introduzione del granoturco. E poi vi erano la pastorizia, l’artigianato della seta e della canapa, il taglio della legna, la viticoltura, l’estrazione di pietre nelle cave, le stazioni di posta, l’edilizia e la strada di grande traffico che portava delle possibilità commerciali. Tali commerci, però, frenarono con l’ennesimo crollo del ponte sul Cismon del 1663, e così la gente si dette al contrabbando con l’allora vicinissima Austria. Le nostre zone erano però sempre più popolate, tanto che la Val Cubia ospitava case fin sotto l’attuale centrale elettrica e poi giù verso Rocca. La zona del ponte accoglieva la stazione di posta, i laboratori artigiani e la stazione di smistamento e prima lavorazione dei legnami che venivano successivamente inviati a Venezia; e poi officine, segherie e mulini. Nell'agosto del 1748 il Cismon si gonfiò a dismisura in seguito a diversi giorni di pioggia, e gli alberi che trascinò lungo il suo corso s’incastrarono formando una diga che, quando cedette, allagò tutta la campagna di Rocca. I detriti della Val Cubia seppellirono case e impianti, le valli di Fastro franarono a valle e il ponte sul Cismon fu per l’ennesima volta spazzato via. I rallentamenti nella ricostruzione furono da attribuire agli enormi danni causati dall'alluvione, all'incapacità dei nobili di Feltre nel dar voce alle esigenze dei nostri territori a Venezia, e alle tasse che vennero paradossalmente richieste agli arsedesi per la ricostruzione degli altri abitati lungo il Brenta. In seguito a quegli eventi, si rinunciò a ricostruire la zona artigianale vicino al ponte, che fu nuovamente spazzato via nel 1772 (anno in cui fu alluvionata anche la zona della campagna di Arsié con notevoli danni alla coltura del grano), ricostruito in pietra nel 1785 e distrutto ancora nel 1789
(Tratto da: Fastro e la sua storia, di Dario Dall'Agnol)